
CRISI DELL’AUTO
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L’Italia una volta era un faro dell’industria automobilistica mondiale. Non solo Fiat ma anche Ferrari, Lamborghini, Maserati, Pagani, Lancia, Alfa Romeo, Pininfarina, Giugiaro, Autobianchi, ecc. Oggi si registra una crisi epocale del settore in Italia, in Europa e in parte negli USA. Sotto accusa sono il dumping cinese (una pratica che consiste nell’esportare un prodotto a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel mercato domestico o addirittura sotto il costo di produzione) e il Green Deal Europeo (il regolamento adottato nel marzo 2023 che stabilisce per le nuove auto il taglio del 100% delle emissioni di CO2 entro il 2035, con lo stop alla vendita dei modelli dotati di motori endotermici, fatta eccezione per quelli alimentati con gli e-fuel).
ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica): “L’automotive è il principale settore manifatturiero italiano, conta oltre 270.000 addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni”. La filiera delle auto ha mosso quote per 25,76 miliardi di euro, (di cui la quota di esportazioni di componentistica dell’Italia verso la Germania è del 20.5%), secondo i dati di ANFIA con un valore economico di 5,2 miliardi di euro. Come importazioni, la Germania è sempre al primo posto come partner italiano (23,6% del totale). La crisi del settore automotive tedesco intanto però non rallenta, con Volkswagen e il taglio dei rami secchi sia in Germania che in Belgio, la diminuzione della produzione e dell’esportazione, i dazi Ue alla Cina per evitare di restare schiacciati dalle vendite di auto elettriche da Pechino. “La crisi della domanda di autoveicoli in Europa e in Italia, l’aumento dei costi di produzione e il rallentamento degli investimenti in nuove tecnologie della mobilità stanno creando le premesse per un possibile peggioramento di scenario”, avverte Marco Stella, Presidente del Gruppo Componenti ANFIA. Stella, parlando dei posti di lavoro, ricorda che: “Nel primo semestre 2024, sono stati annunciati tagli per ulteriori 32.000 posti di lavoro, superando i 29.000 del secondo semestre 2020. La componentistica è sotto pressione anche in Italia”, ricordando anche le grandi perplessità della filiera riguardo ai tagli del Fondo Automotive prospettati dal governo italiano.
GERMANIA
Il gruppo Volkswagen potrebbe chiudere 3 stabilimenti in Germania per la prima volta nei suoi 87 anni di storia. Nel 3° trimestre dell’anno si è registrato un crollo così forte (-15%) da affossare le vendite totali del gruppo (-7%). A soffrire di più Audi e Porsche e l’utile di Volkswagen ha registrato un tonfo del 64% su base annua pari a 1,58 miliardi di euro. Il “taglio dei costi inevitabile” è di 2,2 miliardi di euro ma l’obiettivo è trovare minori spese per 4 miliardi. Non si conosce ancora la stima dei licenziamenti tra i 120mila lavoratori del gruppo e della diminuzione di stipendio di chi riuscirà a rimanere assunto. Intanto uno studio della VDA (associazione dell’industria automobilistica tedesca) ha pronosticato 186mila licenziamenti nel settore dell’auto in tutta la Germania entro il 2035.
ITALIA
I dati sono lì a dimostrare come della fu Fiat degli Agnelli è rimasto molto poco nelle mani del nipote John Elkann: 387.600 auto e furgoni commerciali assemblati nei primi 9 mesi dell’anno contro i 567.525 del 2023. I sindacati metalmeccanici, divisi dai tempi di Marchionne, hanno ritrovato l’unità scioperando insieme il 18.10.2024. L’ultima volta fu nel 1994, quando a fare paura era la discesa a 1,5 milioni di veicoli. Oggi l’auspicio del governo sarebbe arrivare a 2/3 di quella cifra, ma la realtà racconta di un anno che si fermerà sotto il mezzo milione, con le auto a quota 300 mila e un calo superiore al 40% rispetto ai 12 mesi precedenti. L’AD Stellantis Carlos Tavares continua a dare la colpa al passaggio obbligato all’elettrico, ma a smentirlo è la flessione di lungo periodo dei volumi: dal 1999 al 2022, la produzione è arretrata del 66%, passando da 1,4 milioni a 473 mila auto. Nessuno in Europa ha fatto peggio. Negli ultimi 30 anni, sono scomparsi gli impianti di Chivasso, Desio, Rivalta e Arese e dal 1989 c’è stata una riduzione complessiva degli addetti alle linee produttive di 36 mila unità, con il gruppo che è passato da quasi 52 mila lavoratori a poco più di 15 mila.
LA FILIERA
L’impatto del crollo dei volumi sta avendo un riflesso importante sulla filiera: aumenta la cassa integrazione nella componentistica, che conta oltre 2 mila aziende, complici lo spostamento di catene di fornitura e la riduzione dei margini riconosciuti. Tra le crisi più preoccupanti: Lear, Bosch, Proma, Denso, Marelli, Gruppo Ma e Speedline. La situazione si fa complicata anche nella logistica: il caso esemplare è la Sangritana, impresa ferroviaria controllata dalla Regione Abruzzo attraverso Tua, costretta a mettere in cassa integrazione 92 lavoratori per la contrazione dei Ducato in uscita dalla fabbrica di Atessa.
I TAGLI DI GOVERNO ITALIANO
Un maxi-definanziamento, il più pesante tra quelli previsti nella legge di Bilancio varata dal Consiglio dei Ministri: oltre 4,5 miliardi di euro di sforbiciata in 6 anni al fondo destinato al sostegno dell’automotive e alla riconversione di una filiera che conta oltre 270.000 addetti diretti. Una riduzione dell’80% della dotazione precedentemente prevista, pari a 5,8 miliardi. L’autorizzazione di spesa iniziale era di 762 milioni per il 2025, oltre 1 miliardo per 2026 e 2027 e 3 miliardi dal 2028. Subisce dunque una riduzione di 562 milioni l’anno prossimo, 812 l’anno nel biennio successivo e 2,4 miliardi tra 2028 e 2030. Risultato: restano solo 1,2 miliardi, di cui 200 milioni per il 2025.
USA
Allarme profitti anche in casa Ford. Anche se il bilancio trimestrale è stato migliori delle attese si conferma il più fragile protagonista del mercato americano del settore. Appena si sono ridotte le attese degli utili annui, da 12 a 10,6 miliardi di dollari, il titolo è crollato a Wall Street cedendo di un 10% e aggravando un declino di quasi il 7% da inizio 2024. Eppure i numeri non sono male: per il 3° trimestre si registrano utili per azione pari a 49 centesimi, contro i 47 attesi; gli utili operativi sono saliti del 18% a 2,6 miliardi; il fatturato è lievitato del 5% a 46,2 miliardi. Ma gli utili netti sono diminuiti del 25% a 896 milioni. La divisione dell’auto elettrica, Model, ha perso 1,2 miliari di vendite in calo. Da gennaio è passivo è di 3,7 miliardi e potrebbe superare i 5 miliardi per l’intero anno. Ford ha in programma sforbiciate importanti sugli investimenti nel segmento.
ORIENTE
La Nissan ha annunciato un piano che dovrebbe consentire di risparmiare circa 3 miliardi di euro tagliano 9000 posti di lavoro, il 20% della sua capacità produttiva. Lo ha detto il ceo della casa giapponese Makoto Uchida. La Nissan ha anche deciso di vendere fino al 10% delle sue quote della Mitsubishi, per un incasso di circa 420 milioni di euro. Uchida rinuncerà volontariamente al 50% del suo compenso mensile, esempio seguito anche dagli altri membri del comitato esecutivo, perché ha ammesso l’errore: “Non avevamo previsto che i veicoli ibridi avrebbero avuto una diffusione così rapida”. A livello globale, le vendite della Nissan sono calate del 3,8% nella prima metà dell’anno fiscale, fermandosi a 1,59 milioni di veicoli: il calo maggiore è avvenuto in Cina, dove il marchio ha perso il 14,3%, ma anche negli USA le vendite sono scese di quasi il 3% (i due mercati rappresentano insieme quasi la metà delle consegne globali della Nissan).
RIFLESSIONI
Sicuramente al mercato e ai consumatori europei non è piaciuta l’imposizione dall’alto di “bruciare” entro il 2035 tutti i motori endotermici. Forse perché mancando ancora quasi totalmente le infrastrutture, le auto elettriche non vengono ancora percepite come lo strumento di mobilità del futuro. Eppure la Cina sta trainando una trasformazione del mercato che sembra inarrestabile, con le vecchie case automobilistiche europee che non riescono a stare al passo.
Ma forse c’è qualcosa di più. Sicuramente all’Europa dobbiamo chiedere politiche più efficaci di protezione delle eccellenze nostrane oggi messe pesantemente a rischio, anche e soprattutto per il bene di tutti i posti di lavoro in bilico. Ma forse c’è anche una nuova visione di auto e mobilità (auto a guida autonoma, servizi di informazione e comunicazione integrati, ecc.) su cui l’oriente si è avvantaggiato mentre noi stentiamo a fare sentire la nostra voce. Certo è che se non dovessimo trovare velocemente risposte, la geografia dei marchi automobilistici più forti ed importanti è destinata a cambiare molto velocemente a nostro sfavore.
E l’Italia? Siamo ridotti a sperare che un colosso imperialista cinese venga a salvarci da una crisi epocale?